Marcia per il Fila, il monito di Beccaria
Domenico Beccaria, giornalista nonché membro del CdA della Fondazione FIladelfia e Presidente del Museo della Leggenda Granata, non è un uomo che ama tergiversare, andando spesso dritto al punto senza paura di usare parole forti.
Anche nel caso della Marcia per il Fila, Beccaria sfoggia tutto il suo arsenale di "granatismo" e chiama a raccolta tutti coloro che vogliono dimostrare il proprio attaccamento ad uno stadio che ha fatto la storia del Torino. Il seguente editoriale sarà pubblicato in un numero speciale del “Il Trombettiere del Filadelfia”, che uscirà il 19 maggio in concomitanza con la marcia.
"Ma perché continuare a rompere i coglioni per quattro zolle d’erba e due monconi di cemento? Ma perché non mettersi il cuore in pace e arrendersi all’evidenza che il calcio, oggi, è solo più il pretesto per fare pubblicità e vendere beni e servizi? Ma cosa vogliono ‘sti quattro “Superghisti” che scendono in strada in una domenica di maggio, quando potrebbero starsene a casa, o a fare un barbecue in qualche area attrezzata o sul greto di qualche torrente?" Il buon senso inviterebbe a farla finita, riavvolgere le bandiere e spegnere la coscienza che continua a dare calci al cervello, impedendogli di dimenticare quel che è stato e non sarà più. Ma si sa, da sempre essere granata significa aver accettato la croce, significa avere la fredda determinazione di bere l’amaro calice, fino all’ultima goccia, senza esitazione e senza rimpianti. Significa avere il coraggio di urlare in faccia al mondo la propria sfida. È per questo che il 19 maggio 2013 saremo qui a dispiegare al vento i nostri vessilli, a scaldare i nostri cuori alla fiamma che dal 1949 arde su quel colle maledetto. A mostrare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che pretendiamo quel che è nostro e ci spetta di diritto. Certo, fa molto più comodo a lor signori far finta di nulla, o magari ridere pensando che ci sono già gli amici degli amici pronti a calare, neri avvoltoi necrofagi, a cibarsi dei resti che sua maestà il leone lascia loro. Ma hanno fatto i conti senza il Toro. Quel Toro animato dalla volontà di esistere, non semplicemente di sopravvivere, che è nel cuore di tutti noi. Oggi più che mai, quel Toro siamo noi. Oggi più che mai, abbiamo il sacro dovere di alzare la testa e di urlare il nostro sdegno. Forse non ci saranno altre occasioni per rivendicare le nostre origini, le nostre tradizioni, i nostri luoghi. Oggi abbiamo due possibilità davanti a noi. Combattere per quello in cui crediamo o passare il resto della nostra vita a rimpiangere di non averlo fatto. A voi la scelta. Io l’ho già fatta".