Torino, fra prestiti comproprietà e il malus B
Non avere grandi possibilità economiche non è una colpa, ma sicuramente non aiuta. In più, se nel passato si sono commessi errori di valutazione - contratti anche pluriennali a giocatori che si sono rivelati fragili fisicamente e caratterialmente o in saldo o a fine carriera o ancora assenza di clausole che riducano l’ingaggio in serie inferiori - che inevitabilmente continuano a ripercuotersi nel tempo, la situazione economica si complica ulteriormente. A questo va aggiunto che la permanenza in serie B ostacola l’ingaggio di calciatori che hanno richieste anche da squadre che militano in A. Se poi il tutto si corona con un vivaio che non fornisce elementi alla prima squadra allora il quadro è completo e spiega come mai il Torino, dovendo praticamente rifare la squadra, abbia difficoltà a vincere la concorrenza di altre società, che affrontano il calciomercato potendo comprare i giocatori e non limitandosi a trattare per prestiti o comproprietà.
Che il Torino abbia ben presente quali sono i giocatori che servono e quali caratteristiche devono avere è fuor di dubbio e non si discute, ma tra il volere e il potere c’è un abisso. Negli ultimi anni sempre più il calciomercato, in generale, si fa con pochissime squadre che possono veramente spendere cifre consistenti. Esiste poi un gruppetto di altre società che con grande abilità ha costruito, ovviamente investendoci del denaro, una rete di osservatori che segnalano i talenti emergenti, che di conseguenza vengono comprati a poco e poi valorizzati per rivenderli a cifre alle volte buone, e in alcuni casi molto molto buone, così da poter reinvestire il gruzzolo per rafforzare la rosa e continuare a scovare nuovi giocatori. Infine c’è una pletora di società che vivacchia non potendo andare oltre ai prestiti e alle comproprietà e al massimo all’acquisto di qualche calciatore, che o proviene da serie inferiori o vuole rilanciarsi dopo infortuni o stagioni non proprio brillanti.
Sedersi a un tavolo per trattare acquisti senza avere la disponibilità economica per convincere la controparte è impresa a dir poco titanica. Per questo il Torino, al momento, non è andato oltre all’ingaggio del nuovo allenatore e di Ebagua e Antenucci, oltre a Stevanovic. Forse avrebbe dovuto subito vendere Ogbonna per fare cassa e abbassare le pretese per Bianchi, incamerando così qualche altro soldino e in più risparmiando sull’ingaggio del capitano, per far si che il forziere societario disponesse di un budget maggiore per allestire la squadra. Però questo scenario, indubbiamente doloroso, si scontra con la volontà delle altre società interessate a questi due giocatori granata che non hanno alcuna fretta di concludere le trattative, ben sapendo di poterlo fare più avanti quando il Torino, pressato dal passare del tempo, sarà costretto a chiedere meno o ad accettare contropartite tecniche, che servono a far abbassare i costi. Certo la situazione del Torino è quella del cane che si morde la coda, ma uscire dal vortice nel quale si è ficcato è quasi impossibile.
Gli obiettivi per dare a Ventura una squadra con un ossatura formata per l’inizio del ritiro del prossimo 15 luglio, ovviamente, sono sempre gli stessi: un portiere, due difensori, tre centrocampisti e due esterni. Incrociare le dita e sperare che le società che hanno rose con molti elementi preferiscano vendere al Torino e che i giocatori e i loro procuratori facciano prevalere la possibilità di giocarsi, fin dall’inizio della preparazione estiva, un posto da titolare all’avere il portafoglio pieno, ma rischiare la panchina o peggio la tribuna per tutto il campionato. Staremo a vedere.