Cerci ha scelto la casa giusta. E non è lo J. Stadium
L'operazione rewind ci riporta nell'estate del 2011. Alessio Cerci diventa oggetto del desiderio di una Juventus reduce da annate terribili. L'approdo di Antonio Conte sulla panchina bianconera fa seguire una lista della spesa che include anche l'esterno della Fiorentina. L'ala di Valmontone proviene da una discreta stagione: picchi di talento e classe innegabili, uniti a discese ardite di capricci e indolenze adolescenziali. Eppure c'è un gran desiderio in Corso Galileo Ferraris di mettere le mani su questo giocatore croce e delizia di Mihajlovic. L'ad bianconero Beppe Marotta tentenna diverse settimane e al gong finale del mercato finisce tutto in una bolla di sapone; per la felicità di Krasic, di lì a poco silurato dall'ambiente juventino. Il ciclo del tecnico pugliese inizia senza un suo pallino, che aveva puntato dopo l'exploit in B con il Siena. Cerci sarebbe stata la pedina perfetta per il suo 4-2-4, presto abbandonato in favore di un più redditizio 3-5-2. Ecco dunque scemare l'interesse per l'ex romanista. Anche il Manchester City di Mancini ci fa un pensierino. Niente da fare. Cerci rimane a Firenze. Un altro anno sull'altalena del calcio, tra fughe inarrestabili e bruche frenate. Nel frattempo il Toro risale gli abissi dopo la sciagurata annata targata Lerda. Parte la scalata alla A e Ventura si prenota il suo regalo per l'anno successivo. Il resto è cronaca di oggi, con la brama di bissare una stagione scintillante. Alessio ha scelto l'Olimpico per rilanciarsi e far godere una tifoseria non più avvezza a certe libidini. Domani Cerci torna allo J. Stadium come unico rappresentante granata della Nazionale. E' la prima volta dopo il derby anonimo dello scorso anno, dove fu uno dei protagonisti assenti. Nonostante si sia ripreso in extremis, l'esterno laziale ha buone possibilità di vedere il campo contro la Repubblica Ceca. Un timbro in quella che avrebbe potuto essere casa sua, equivarrebbe ad un segnale forte e chiaro. Per lui, in chiave Mondiale, e per il Toro sul versante derby, da troppi anni sinonimo di ferita inguaribile.