Carlo Nesti a Radio Vaticana – Derby di Roma senza Curve – Lorenzo-Rossi come Spagna-Italia?

13.11.2015 10:42 di  Marina Beccuti  Twitter:    vedi letture
Carlo Nesti a Radio Vaticana – Derby di Roma senza Curve – Lorenzo-Rossi come Spagna-Italia?
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Derby senza curve: hanno ragione Gabrielli, Pallotta e i moderati

 

“A 36 anni di distanza dalla morte di Vincenzo Paparelli - dice Carlo Nesti, a Giancarlo La Vella della Radio Vaticana Italia, nella rubrica “Non solo sport” del lunedì, alle 12,35 - e da quando il mio calcio, quello del quale ero innamorato da bambino, è stato sfregiato per sempre dalla violenza, mi sono convinto di una cosa. O si sta zitti, pregando per chi non c’è più, e per chi merita ancora di esserci, dentro uno stadio, con la propria famiglia, oppure si continua a pregare, essenziale in qualsiasi momento, seguendo l’insegnamento di Gesù: “Sia il vostro parlare sì, sì: no, no; perché il di più viene dal maligno”. E allora io dico, a costo di apparire troppo perentorio, che è stato triste e surreale vedere le Curve del derby vuote. Ma se questo è il prezzo da pagare per una sfida, come è stata, senza tensione, volgarità e violenza sulle gradinate, applaudo il Prefetto di Roma Gabrielli, e il presidente della Roma Pallotta. Sono gli ultras pericolosi, la prossima volta, che dovranno cambiare idea, e tornare in pace, accettando che quei settori non siano il loro territorio di proprietà, perché questo è l’equivoco di base. La Curve sono il teatro, che i tifosi affittano, e non acquistano, ogni domenica, per realizzare uno spettacolo magnifico, fatto di amore, calore, colore e passione. Ma non sta scritto da nessuna parte, che abbiano il diritto di espropriarlo. E contro la separazione in 2, per un migliore controllo, da parte delle forze dell’ordine, delle Curve, sono legittimati a protestare solo i tifosi moderati, costretti a spostarsi, rispetto al luogo, dove pensavano di essersi abbonati”.

 

 

Il triangolo Rossi-Marquez-Lorenzo ha scatenato rivalità patriottiche.

 

“Sappiamo bene come l’epica letteraria, che un tempo esaltava gli eroi e i martiri delle guerre, si sia trasferita nello sport, che riproduce, in modo non cruento, la contrapposizione fra uomini e uomini, popoli e popoli, nazioni e nazioni. E se questo è rimasto, pare, l’unico appiglio con la nostra patria, perché tante altre cose ci allontanano da essa, ben venga, perché almeno ci tiene ancora legati alla nostra storia, ad una bandiera, a un inno, a radici comuni, che non dovremmo mai dimenticare, all’insegna del bene comune. Le rivalità patriottiche sono il sale dello sport, e negarle sarebbe strappare allo sport una parte romantica della sua anima. Si parte da Bartali, che vince il Tour de France, nei giorni dell’attentato a Togliatti, riappacificando un intero paese, sull’orlo della guerra civile. E si arriva a Italia-Germania 4-3, che riscatena l’attaccamento alla bandiera, negli anni in cui il Sessantotto sembra abbattere il concetto di patria. In questo caso, Rossi contro Lorenzo (più Marquez) è stato, nell’attesa dell’ultimo Gran Premio di Valencia, Italia contro Spagna, soprattutto leggendo gli attestati di solidarietà verso Valentino. Ma Rossi, in realtà, è un campione trasversale di tutti, tanto che oltre la metà dei fans spagnoli lo ha incoraggiato. Credo che questo sia stato il passo avanti più bello, compiuto dal tifo, all’interno, per la verità, di una brutta storia. Non dimentichiamo, infatti, come tutto sia scaturito da un episodio di gara, che poteva costare caro ai contendenti, comunque lo si voglia interpretare”.

 

 

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